Conferenza: “Scrittura di libri e di icone”. L’ Iconografia russa

LIBRI E  ICONE

Un paio delle molte splendide opere di Alma Maria

Il 22 febbraio 2012 presso  la sede sociale Fidapa, in via Dordi, 8 a Trento, la dott.ssa Alma Maria Pedron, socia Fidapa, scrittrice, pittrice ed iconografa, ha tenuto una conferenza dal titolo “Scrittura di libri e di icone”.

Già in data 24 aprile 2008, su invito della Presidente Loredana Bettonte aveva  esposto una dotta spiegazione sull’iconografia, sul significato di icona come immagine e come teologia dell’immagine riferita alla Chiesa cristiana d’Oriente ed  il senso della stessa nel terzo millennio.

Ora, invitata dalla Presidente Sandra Frizzera, ha illustrato una comparazione tra la scrittura di icone e di libri, evidenziando analogie e differenze.

Le icone, infatti, non si dipingono, ma si scrivono per tradurre in colore ciò che le Scritture annunciano con la parola.

La prima differenza tra scrittura di icone e di libri si evidenzia già con i materiali usati:

pennelli, colori, emulsioni, tavola di legno, ecc., per l’icona e, nel tempo, papiro, pergamena, carta,

stilo, piuma, penna, caratteri mobili della stampa, computer, per il libro.

L’iconografo scrive l’icona nel rispetto dei canoni dettati dai vari concili e non la firma, rispondendo al genere del sacro. Non è mai pittura realistica, naturalistica, specie per i volti spesso trasfigurati, in quanto pittura mistica, nella quale si può leggere ed incontrare il “mondo dell’invisibile”.

Ecco, quindi, un’altra differenza tra lo scrivere un’icona e lo scrivere un libro.

Lo scrittore non è un amanuense, non copia scritti di altri, ma è un artista come un pittore, è un creativo, potendo dare libero sfogo alla propria fantasia, ai suoi sentimenti che può tradurre in scrittura, senza rispettare un canone prefissato.

Ogni libro rappresenta, pertanto, una sorpresa potendo rifarsi ad un genere o ad un altro o mescolarne diversi (storico, religioso, poliziesco, fantascientifico, ecc.).

Le motivazioni che nel tempo hanno indotto alla scrittura di icone sono state molteplici:

originariamente come sostituto delle scritture per la non conoscenza delle lingue dei testi sacri, quindi, una funzione didattica (bibbia dei poveri); una funzione liturgica devozionale;

apotropaica, per scongiurare incendi, guerre, malattie e molte altre legate alla fede.

La relatrice ha poi esposto varie motivazioni che possono indurre a scrivere un libro, richiamando

il pensiero di Socrate in merito alla condanna della scrittura, al pensiero ossessivo che va svelato di Tolstoj e ad una scrittura che può garantire una discendenza al pari di fare un figlio per Oriana Fallaci.

Tra le analogie più evidenti si riscontra l’aspetto della lettura dell’una e dell’altro.

L’icona oltre ad essere letta per la sua funzione didattica, ci può trasmettere una narrazione figurata della vita del soggetto rappresentato. Sarà  in tal caso un’icona biografica che ci permette di leggere

le scene della vita del santo, come fosse un testo relativo alla sua vita. Lo stesso dicasi per le icone liturgiche che rappresentato le feste del mese o di un intero anno, diventando un autentico libro liturgico.

Il libro si legge per fruire di contenuti, possibilmente in una dimensione di piacere (un banchetto di sapienza e di diletto secondo gli intenti di Dante).

Nella storia sia le icone che i libri hanno subìto censure politiche, ma soprattutto religiose.

La Chiesa ha condannato molti autori di testi  “per aver turbato fede e moralità o gli orientamenti scientifici dell’epoca”.

E qui la relatrice fa un’ampia dissertazione in materia, richiamando “L’indice Tridentino” del 1564.

Per le icone abbiamo invece la loro condanna con l’iconoclastia, cioè la distruzione delle immagini.

La controversia iconoclastica conoscerà fasi alterne fino all’843, con la legalizzazione del loro culto ad opera dell’imperatrice bizantina Teodora.

La distruzione delle immagini si ripeterà comunque anche in periodi successivi nel mondo islamico, che ha scialbato molte chiese cristiane oggetto di conquista, mentre in quello giudaico era già sancita dal dettato biblico, nella riforma protestante poi, privilegiando la parola e non l’immagine, nel periodo dell’ateismo di regime sovietico che distruggerà venti o trenta milioni di icone.

Altra analogia tra le due scritture è il titolo. Nel libro spesso è più un richiamo commerciale che non

esplicazione del contenuto, nell’icona assume, invece, il nome di “iscrizione” per connotare la scena o il soggetto rappresentato, che riceve la conferma della presenza del Sacro, del mistero, attraverso la benedizione dell’icona stessa.

Queste, in grandi linee, le tematiche molto interessanti trattate, che hanno destato grande interesse e soddisfazione tra le numerose socie presenti.

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